Questi sono i verbi che il Calasanzio adopera quando si riferisce alla costruzione delle Scuole Pie e che troviamo citati nella conclusione del Memoriale al Cardinale Tonti[1]. È chiaro che, nella sua mentalità, il lavoro di costruzione delle Scuole Pie, portatrici del tesoro che ha scoperto, costituisce una sfida prioritaria, l’orizzonte della sua vita. Fin dal nostro ultimo Capitolo Generale, l’Ordine ha assunto la “costruzione delle Scuole Pie” come uno dei punti di riferimento di ogni Provincia e delle Scuole Pie nel loro insieme. È bene, quindi, cercare di affrontare questa sfida partendo da diverse prospettive, per cercare di comprenderla nella sua globalità.
Non pretendo di sviluppare questo tema nel breve spazio di una lettera fraterna; ciò che desidero fare è invitarvi a riflettere su alcune dimensioni di questo entusiasmante compito. Mi concentrerò su una delle dimensioni centrali dello sforzo di “continuare a costruire” le Scuole Pie: la trasformazione della nostra “cultura scolopica”, per cercare di avvicinarci a ciò che siamo chiamati ad essere.
La “cultura dell’Ordine” è l’incarnazione consolidata della nostra identità e del nostro carisma. Possiamo rinnovare la cultura scolopica? Questa è una delle domande basilari che possiamo porci. Nel corso degli anni (o dei secoli), si consolidano modi di vivere, di agire, di reagire, di pregare, di decidere, che costituiscono la “cultura istituzionale”.
Quando parliamo di “cultura scolopica” parliamo del nostro modo di organizzarci, di vivere, di lavorare, di decidere o di affrontare le sfide. Esiste una cultura dell’Ordine, senza dubbio. C’è una cultura organizzativa. E questa sarà la chiave della sfida di cui stiamo parlando. Ecco perché ci stiamo lavorando in tutte le ‘giornate continentali’ che abbiamo convocato, con questa domanda: quali Scuole Pie vogliamo nel nostro continente?
Tutte le istituzioni hanno una cultura, che si riferisce ai valori e alle pratiche che danno significato al lavoro di ciascuna di esse. Stiamo parlando dell’insieme di credenze e valori condivisi dai membri di un gruppo, in maggiore o minore misura. Questi valori e convinzioni vengono consolidati e trasmessi ai nuovi membri dell’istituzione e creano la necessaria coerenza istituzionale. Ma nessun gruppo può intendere la propria cultura come qualcosa di immobile, permanente ed estraneo alle nuove situazioni in cui il gruppo vive.
La nostra cultura è come un iceberg. C’è una cultura visibile (il modo in cui diciamo di fare le cose) e una cultura sommersa (il modo in cui facciamo effettivamente le cose). La prima è costituita da visione, strategie, valori condivisi, obiettivi, politiche, strutture, procedure, ecc. Di solito questi elementi sono incarnati in Costituzioni, Regole, Consigli e Documenti.
Ma c’è una cultura invisibile, sommersa. Ci sono le credenze, i presupposti condivisi, le percezioni, la tradizione, le norme, i valori che ci guidano, le regole non scritte, le storie, i sentimenti e così via. Solo se comprendiamo l’iceberg possiamo aprirci a un nuovo momento. Ma per farlo, abbiamo bisogno di una dose formidabile di onestà istituzionale.
I vettori del “cambiamento culturale istituzionale”. Il cambiamento culturale, il processo di rinnovamento, richiede tre chiavi: i valori in cui crediamo e che vogliamo sviluppare, le scelte a partire da cui vogliamo portarli avanti e i modi in cui vogliamo operare queste scelte. Ed è qui che entra in gioco un concetto chiave, ovvero il concetto di “vettori del cambiamento”.
Fa parte della leadership di un’istituzione discernere quali sono i “vettori di cambiamento culturale”, le scelte che possono aiutarci nel percorso di apertura a un nuovo momento. L’ho visto chiaramente in alcune delle nostre Province, che al momento hanno definito i “vettori di cambiamento” e, nel tempo, ne stanno ricevendo i frutti. E ho visto anche il contrario, in alcune Province che non hanno mai pensato di dover cambiare, e l’orizzonte sta gradualmente svanendo. Lo stesso si può dire dell’Ordine nel suo complesso.
Stiamo parlando dei dinamismi che possono guidare il cambiamento, la maturazione, i processi e la crescita. Sono opzioni che possono aiutarci a rinnovare le nostre procedure e i nostri modi di agire e di situarci nella missione, i nostri stili di vita, la nostra comprensione del mondo in cui viviamo, i nostri processi di discernimento, ecc.
Non intendo approfondirli o spiegarli in dettaglio in questa fase. Mi accontenterò di alcuni esempi che possono aiutarci a capire di cosa stiamo parlando. Citerò alcuni vettori di cambiamento che ho visto nell’Ordine e che ci stanno effettivamente cambiando. E terminerò con una proposta conclusiva sulla sfida da affrontare.
1-Decidere che la Pastorale Vocazionale non è solo un “lavoro della persona responsabile”, ma di tutti, e che dipende molto dalla presenza reale degli Scolopi tra i fanciulli e i giovani. Finché non saremo convinti di questa affermazione e ne trarremo le conseguenze; finché continueremo a pensare che la Pastorale Vocazionale sia un compito di pochi e non di tutti; finché gli Scolopi non saranno convinti che dobbiamo “passare ore e ore” con gli studenti e i giovani, accompagnando da vicino, a tutti i livelli, il loro processo e il loro cammino, il cambiamento di tendenza desiderato non sarà possibile e continueremo a essere “sorpresi” dal fatto che la maggior parte dei giovani che entrano nell’Ordine provengono dall’esterno delle nostre Opere. Questo cambiamento è possibile e reale, ed è un vettore di cambiamento fondamentale per la nostra “cultura dell’Ordine”.
2-Credere veramente nelle comunità e nelle équipe. Dobbiamo generare corresponsabilità. La comunità religiosa, o la comunità educativa, è composta da adulti, capaci di comprendere e assumere i compiti necessari per il buon funzionamento del gruppo e della missione. Quando la comunità, l’équipe o il segretariato approva un piano, alcuni obiettivi, alcuni compiti, alcuni progetti… ciascuna delle persone del gruppo se ne fa carico. Se il progetto è condiviso, ogni persona lo sente come suo. La corresponsabilità e la disponibilità sono atteggiamenti che vanno di pari passo, così come la corresponsabilità e l’invio. E questo può cambiarci profondamente.
3- Non cessare mai di costruire l’identità. È un compito senza fine. Le persone si rinnovano, i contesti cambiano, le sfide ci sorprendono. Abbiamo bisogno di un’”antenna aperta e connessa” per capire che cosa deve essere messo in evidenza in ogni momento, al fine di rafforzare la nostra identità. Ci sono spazi e scelte particolarmente significativi per la promozione di un’identità sostenibile. Mi riferisco soprattutto a quanto segue: la comunità religiosa inserita nella missione e con la vocazione a condividere e a chiamare; la comunità cristiana scolopica che assume la sfida di essere l’anima della missione; i ministeri scolopici assunti come ciò che sono: espressione di aspetti centrali della nostra identità; le equipe missionarie condivise, i processi di formazione, il rapporto con i laici e, soprattutto, la capacità di chiamare i giovani ad assumere vocazionalmente la vita e la missione scolopica.
4-Ridare alla riunione comunitaria lo spazio centrale attribuitole dalle nostre Costituzioni, e non accontentarsi di avere il minor numero possibile di riunioni. Sono rimasto sempre molto colpito dagli obiettivi che le nostre Costituzioni[2] associano alla riunione comunitaria. Non più e non meno di questi: la costituzione di comunità vere; la solidarietà di azione e di responsabilità; il trattare in comune le questioni di maggior rilievo; la nostra capacità di rivedere ciò che viviamo e di migliorarlo. In altre parole, una vita comunitaria scolopica degna di questo nome non è possibile senza una riunione comunitaria adeguatamente preparata e sistematicamente celebrata. E questo “fa cultura” e costruisce l’Ordine, senza alcun dubbio.
5-Promuovere l’accompagnamento. Questo è senza dubbio un importante vettore di cambiamento culturale nel nostro Ordine. Vivere accompagnati è essenziale per la nostra fedeltà vocazionale. E non mi riferisco solo all’accompagnamento spirituale personale, che cerchiamo di ricevere da persone sagge di cui riconosciamo le capacità di ascolto e di consiglio. Mi riferisco alla capacità di accompagnamento della comunità, al ruolo del superiore o all’accompagnamento che riceviamo da tante persone con cui condividiamo la vita e la missione. Forse questa è una delle chiavi più importanti che stanno emergendo nella visita che sto facendo ai giovani religiosi adulti: abbiamo bisogno di vivere accompagnati e vogliamo essere acccompagnati.
6-Puntare veramente su un Movimento Calasanzio che provochi seri processi di vita di fede e di identità scolopica, e che supponga, progressivamente, l’impegno di molti giovani nel compito comune di costruire Scuole Pie più convincenti e missionarie. Ritengo che il Movimento Calasanzio sia un forte “vettore di cambiamento” se gli diamo la possibilità di esserlo, se lo colleghiamo allo sviluppo di processi comunitari stabili quale la Fraternità e se favoriamo al suo interno una proposta vocazionale seria e coerente.
7-Saper individuare le nuove sfide e dare risposte adeguate. La ricchezza carismatica di un gruppo non ha a che fare solo con la storia o con le chiavi fornite dal fondatore, poiché i carismi degli istituti religiosi sono costituiti in modo incarnato e offrono, nella loro incarnazione, indizi su come devono essere compresi. Dobbiamo sapere come vivere il nostro carisma con altrettanta fedeltà e reattività alle circostanze di oggi. Un carisma continua ad essere fecondo quando è in grado di dare nuove risposte alle nuove situazioni che si presentano. Il carisma, per definizione, è inculturato. E ora, per scelta, è interculturato. Dobbiamo promuovere un “discernimento prospettico”, capace di approfondire la direzione in cui vanno la nostra realtà e quella della società che serviamo, per poterci preparare a dare risposte adeguate, spesso contro-culturali. Si tratta di discernere ciò che è essenziale e di comprendere il contesto in cui dobbiamo svilupparlo. Una sfida entusiasmante.
8-Mettere profondamente in luce la comunità. La comunità è lo spazio da cui possiamo creare e vivere il nostro cammino di rinnovamento. Vedo tra noi un’enorme nostalgia per la vita comunitaria fraterna. E vedo le grandi linee a partire da cui sogniamo questa vita comunitaria: la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia comunitaria; la Parola condivisa sulla base di una lectio divina comunitaria; il discernimento comunitario sulle questioni veramente importanti che ci riguardano e che hanno bisogno della nostra risposta; la condivisione della vita, ovvero la condivisione di ciò che viviamo; la formazione, così necessaria tra noi, che ci aiuta ad essere sempre ‘attenti’ alla realtà e alle sue sfide; l’accompagnamento della missione; la collaborazione alla presenza scolopica di cui facciamo parte; la celebrazione e la gioia condivisa; il legame della comunità con la vita della Provincia e dell’Ordine; l’elaborazione, lo sviluppo e la vita di un progetto comunitario, ecc. Vedo un grande desiderio di pensare al rinnovamento delle nostre comunità.
9-La passione per la missione, lo zelo apostolico. Noi scolopi nutriamo un affetto particolare per una frase attribuita al Calasanzio che tutti conosciamo a memoria: “Ho trovato in Roma la maniera definitiva di servire Dio facendo del bene ai piccoli. Non la lascerò per alcuna cosa al mondo”. Ecco il modo migliore per definire in cosa consiste la “passione per la missione”.
Oggi, la vita di molte persone, inondata da mille offerte e possibilità, è frammentata, senza gli assi configuranti che preservano l’identità e offrono una direzione ben definita al processo di crescita personale. Nella maturità dei suoi 40 anni, il Calasanzio, raggiunge una definizione unitaria della sua vocazione, avendo un centro attorno al quale ruoterà la sua vita, lasciando da parte le cose che considera, per sempre, secondarie, come diceva Paolo[3]. Grazie al suo incontro personale con Dio, definisce la sua vocazione come un dono totale di sé per sempre. Trova ciò che dà senso e unità alla sua vita, la fonte della sua pace interiore, che non perderà mai. Solo una cosa appare veramente definitiva: vivere a partire da Dio, nella dedizione totale all’educazione dei bambini poveri. Solo questa scelta radicale può soddisfare il suo cuore.
Dobbiamo essere in grado di mettere in discussione certi stili di vita che conducono alla perdita dello zelo apostolico e dello spirito di lavoro, certe scelte di vita che, in fondo, cercano la comodità e mancano di dedizione. Finché questo non cambierà, non cambierà nulla. La “passione per la missione” trasforma l’Ordine, la comunità e la persona. Ma è solo passione – e sostenibile come tale – se ispirata e sostenuta dall’esperienza di Dio. Ecco perché è necessario lavorare a partire da questo dinamismo apparentemente contraddittorio: essere tanto spirituali quanto impegnati nella missione. Questo è anche un segreto chiave del nuovo paradigma verso il quale vogliamo camminare.
10-Una Formazione Iniziale che può trasformare ciò che viviamo. Concludo con un riferimento alla Formazione Iniziale. Al suo interno, cerchiamo di promuovere l’autenticità della vita comunitaria, l’accompagnamento, la trasparenza della vita, lo spirito di servizio, la preghiera condivisa. Troppo spesso, però, quando i giovani terminano la formazione iniziale, viene chiesto loro di adattarsi a stili di vita già esistenti, in cui questi elementi non vengono presi in considerazione e, cosa ancora più grave, viene detto a coloro che sono in formazione iniziale che queste dinamiche sono proprie delle case di formazione, non della vita adulta. Dobbiamo lavorare per promuovere una formazione iniziale capace di rinnovare la nostra vita scolopica, e questo richiede da parte di tutti noi credere nelle scelte che abbiamo approvato nei nostri Capitoli.
Concludo questa lettera citando un paragrafo approvato dal nostro 48° Capitolo Generale, in cui si fa riferimento a uno dei temi centrali del Capitolo: la costruzione delle Scuole Pie. Il Capitolo dice: “Il nostro Ordine e le Scuole Pie nel loro insieme vivono e camminano in un contesto di profondi cambiamenti e trasformazioni che ci obbligano a un discernimento intenso e attento dei segni dei tempi. La costruzione delle Scuole Pie richiede da parte nostra un’attenzione speciale ai cambiamenti che stanno avvenendo nella nostra ‘cultura scolopica’, nei nostri processi e nel nostro cammino. A tal fine, sarà bene discernere i principali processi di trasformazione che stiamo subendo. Sarà importante tenerne conto, se vogliamo davvero contribuire a un dinamismo di costruzione di Scuole Pie fedeli al carisma e alla realtà[4]”. Forse questo è un altro interessante ‘vettore di cambiamento’: tenere conto di ciò che approviamo nei Capitoli.
Un abbraccio fraterno.
P. Pedro Aguado Sch.P.
Padre Generale
[1] San Giuseppe Calasanzio. Memoriale al Cardinale Tonti. Opera Omnia, volume IX, pag. 305-306.
[2] Costituzioni delle Scuole Pie n. 32, 134, 165 e 167.
[3] Fil. 3, 8.
[4] 48° Capitolo Generale dell’Ordine delle Scuole Pie. Nucleo 2, pagina 27. Collezione “CUADERNOS” 65. Publicaciones ICCE. Madrid 2022.